Dopo sei lunghi anni l’Italia ha il suo Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC). Con decreto firmato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin lo scorso 21 dicembre (il n. 434) e ufficializzato il 2 gennaio 2023, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica pone una prima pietra sui processi di adattamento al cambiamento climatico in un Paese che gli scienziati considerano un hotspot climatico. L’Italia, infatti, è sempre più esposta alla crisi climatica e all’intensificarsi degli eventi estremi che nel 2023 sono arrivati a quota 378 (+22% rispetto all’anno precedente) provocando anche morti e danni non solo al territorio ma anche alle attività dell’uomo.
Il PNACC, difatti, prova a rispondere a una duplice esigenza: quella di realizzare un’apposita struttura di governance nazionale, e quella di produrre un documento di pianificazione di breve e di lungo termine per l’adattamento ai cambiamenti climatici, attraverso la definizione di specifiche misure volte al rafforzamento della capacità di adattamento a livello nazionale e territoriale. L’obiettivo è quello di fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici e a migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socioeconomici e naturali.
Si tratta di un documento composto da 907 pagine (inclusi gli allegati) e un Excel in cui sono contenute 361 misure generiche di carattere nazionale o regionale che dovranno essere intraprese in vari settori, dall’energia alla sanità, dalla gestione idrica e del dissesto alle foreste, zone costiere e insediamenti urbani e una serie di indicazione per l’integrazione nella pianificazione territoriale locale e regionale (mancante un’indicazione per la pianificazione economica).
Il Pnacc ha identificato misure di portata nazionale o regionale da attuare. Queste misure influenzeranno settori chiave come l’agricoltura, l’energia, le risorse idriche, il dissesto idrogeologico, le zone costiere e i trasporti. Sebbene i dettagli operativi delle misure siano ancora in fase di definizione, sono categorizzate in tre tipologie principali: “soft” (senza interventi strutturali diretti), “green” (soluzioni basate sulla natura) e “grey” (azioni dirette su impianti, tecnologie e infrastrutture). La stragrande maggioranza delle 361 azioni previste, oltre 250 rientrano nella categoria “soft”, mentre le restanti sono distribuite tra “green” e “grey”. Il documento però risulta molto vago nella definizione della dimensione regolativa dei territori. Non è chiaro chi si occuperà dell’implementazione del Piano; quali uffici dovranno intervenire e come sarà gestito il lavoro di integrazione con gli strumenti regolatori già esistenti.
Le dichiarazioni degli ambientalisti
Il documento definito come “passo importante per la pianificazione e l’attuazione delle azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nel nostro Paese” da parte del MASE anche per Legambiente è un successo
“ma vanno trovate le risorse economiche ad oggi ancora assenti, per attuare le 361 soluzioni previste, altrimenti rischia di restare un piano solo sulla carta”, spiega il presidente Stefano Ciafani che chiede anche che si approvi un PNIEC più ambizioso, una legge per fermare il consumo di suolo ed entro tre mesi si emani il decreto che attiva l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici”.
Per il WWF, il Piano appena pubblicato, “dopo le varie consultazioni e l’unanime denuncia della mancata identificazione di azioni davvero in grado di anticipare i cambiamenti provocati dalla crisi climatica e dei finanziamenti necessari, è analogo a quello precedente e ha gli stessi limiti – critica l’associazione ambientalista – mancanza di decisioni chiare e coraggiose, ottima identificazione sintetica dei possibili impatti e problemi, scarsa e deficitaria individuazione delle cose da fare e di come finanziarle. Il Piano va preso come un primo passo: ora però tocca ai decreti attuativi e agli organi di governance cercare di correggere gli evidenti limiti e costruire un percorso che porti a quell’approccio sistemico che pure il Pnacc richiama”.
Per il direttore scientifico dell’Asvis, Enrico Giovannini, per attuare pienamente il Piano, il governo deve istituire rapidamente la struttura di governance prevista e trasformare gli obiettivi in azioni concrete. Inoltre, considerando che il Pnacc non dispone di risorse finanziarie specifiche, è urgente valutare come gli strumenti previsti dal Pnrr e da altri strumenti finanziari, come i fondi europei e nazionali per la coesione, possano contribuire al suo completamento. Queste valutazioni devono essere effettuate entro marzo, in modo da apportare eventuali correzioni nel prossimo Documento di Economia e Finanza e nella Legge di Bilancio per il 2025.
Per il direttore di Fondazione Ecosistemi e del Forum Compraverde Buygreen, Silvano Falocco, “Il Piano, la cui approvazione era comunque necessaria, deve chiarire tre aspetti: definire una chiara priorità degli interventi per uscire dal fossile, allocare le risorse ecnomico-finanziarie necessarie agli interventi (anche quelle che permettono una transizione giusta) e chiarire chi e come si attuano le azioni previste. Su questi aspetti c’è ancora poca chiarezza.”